28 Settembre 2011 - Suor M. Cifelli e Suor R. Favero all'OPAM

Sr. Maria Cifelli e Sr. Rosanna Favero, responsabili delle adozioni in Guinea Bissau e nelle Filippine hanno incontrato i sostenitori OPAM. L’evento raccontato da una giovanissima collaboratrice dell’OPAM.

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Su sviluppo, cooperazione e progresso sono stati riempiti migliaia di testi, sono state tracciate milioni di parole, sono state fatte miliardi di ore di lezione. Dove, come, quando, perché e, soprattutto, fino a che punto fosse lecito e giusto spingersi. Tante domande, tante risposte. 

Fino agli anni ’90  erano i valori economici a farla da padrone ed il PIL, unica misura di valutazione per la qualità della vita dei vari Paesi. Poi, nel 1990, la svolta attraverso la realizzazione dell’ “indice di sviluppo umano” che accostava al PIL alfabetizzazione e speranza di vita.
Fino agli anni ’90, chi parlava di sviluppo lo faceva mettendo in ombra l’Uomo. E ancora oggi, la maggior parte delle persone che si avventurano nel campo della cooperazione, a lungo andare, perdono di vista (ammesso che da lì siano partiti) che al centro di essa ci sono donne e uomini in altre realtà, di altre culture. Non minori o maggiori, semplicemente altre.
Il giusto punto di vista lo si riprende quando con quelle realtà lontane si inizia un rapporto di ascolto reciproco e dialogo, direttamente o attraverso chi è lì, permettendo ai numeri di tornare ad essere volti, nomi, voci di uomini e donne, presenti e futuri.
I miei primi (quasi) due anni di Opam mi hanno permesso di demolire alcune mie considerazioni, identità e aspettative sullo sviluppo. Ho scoperto che, affidandomi solo ai libri, ero caduta in errore ed avevo perso la cura per l’altro.
Ma quello di cui non avevo davvero idea, era la reale dimensione degli effetti e delle conseguenze dell’operare per lo sviluppo. E me ne sono resa conto incontrando all’OPAM Suor Maria Cifelli e Suor Rosanna Favero. Loro rappresentano, perfettamente, le chiavi di volta di quello che è un pensiero “sano” sulle dinamiche dell’aiuto intelligente. Perché esistono anche vari tipi di aiuto. E non tutti sono buoni.
Sguardi come i loro, io non credo di averli mai visti. Forti e decisi ma allo stesso tempo pieni di una compassione nel suo termine più bello, il desiderio di bene nei confronti del prossimo.
I loro racconti, le loro foto, parlano di anni pieni di lavoro, fatica, difficoltà e tanta passione, che hanno permesso (e permetteranno) a moltissime persone di vivere un’esistenza piena di dignità e possibilità, una vita aperta al futuro e non chiusa su se stessa mirata alla sola sopravvivenza.
Ed è strada facendo, tra racconti e lettere, che ho capito che alfabetizzare non è istruire di un sapere sterile fine a se stesso, un saper leggere, scrivere e far di conto bene. Alfabetizzare è dare ad una giovane vita gli strumenti necessari per scegliere, per decidere nel più saggio dei modi della sua vita contribuendo al progresso socio-politico-culturale della realtà in cui si trova, permettendole un’evoluzione umana che non tradisca le proprie radici e la propria cultura. Alfabetizzare, attraverso adozioni e progetti, non è un’imposizione culturale, ma un accompagnare, un tenere per mano fino al giorno in cui la schiena sarà bella dritta e le gambe saranno sufficientemente forti per camminare senza aiuti. La meta, poi,  la deciderà quell’uomo che non solo saprà da dove viene e cosa potrà diventare, ma che avrà chiaro che aiutare ed essere aiutati permetterà la creazione di una bellezza umana importantissima, avrà chiaro che la solidarietà arricchisce non solo chi riceve, ma anche chi dona.
Perché quello che si dona, per qualche bellissima legge del Creato, torna sempre indietro.

Chiara Pasqualini