Questo mese di ottobre 2009 è stato caratterizzato da un evento importante per la Chiesa di tutto il mondo: il Sinodo dei Vescovi per l’Africa. Un evento a cui la “grande” stampa di casa nostra, eccetto poche eccezioni, non ha dedicato molta attenzione, forse anche per un fraintendimento: che cioè si trattasse di problemi interni dell’Africa a cui possiamo ritenerci estranei. In realtà la parola stessa “Sinodo” (camminare insieme) indica qualcosa in cui siamo coinvolti tutti, non solo perché nel “villaggio globale” non possiamo più rimanere estranei ai problemi del mondo, ma perché come cristiani non si può concepire una vita di fede che sia un cammino in solitudine.
Questa riunione di 3 settimane ha visto all’opera a Roma principalmente i delegati degli episcopati
dell’Africa, ma anche di altri continenti, per riflettere e discutere su un tema cruciale: la
Riconciliazione, la Giustizia e la Pace. Argomenti di per sé caldi, che si potevano prestare nell’attuale congiuntura mondiale che affligge in particolare l’Africa, ad analisi e indicazioni di natura economica, politica e sociologica, sul modello dei vertici dei vari G8 o G20.
Per questo motivo il papa ha ricordato in apertura, con la consueta sua chiarezza, che noi “non possiamo realizzare quanto c’è da fare per la Chiesa e per il mondo: solo nella forza dello Spirito Santo possiamo trovare quanto è retto e poi attuarlo”. Anche gli Apostoli hanno compreso a Pentecoste che la Chiesa non si può “fare”, non è il prodotto della nostra organizzazione, ma deve nascere dallo Spirito Santo, da un atto creativo di Dio a cui certo noi possiamo collaborare.
In che modo? Anzitutto nella Verità. È necessario che si conosca la realtà di questo mondo, sono certo
importanti le analisi empiriche sulla Riconciliazione, la Giustizia e la Pace; ma da sole sono insufficienti se non si collocano i problemi alla luce di Dio. Le cose del mondo vanno male perché alla radice delle ingiustizie, della corruzione c’è un cuore non retto, un cattivo rapporto con Dio: questa è la radice di tutti gli altri mali. La Verità però non è solo far luce sul male annidato nel cuore dell’uomo: è anche scoprire e annunciare che Dio non ci lascia soli coi nostri mali, che viene a prenderci per mano, che Lui è la forza capace di rinnovare il mondo. Di fronte allo scoraggiamento che ci assale davanti ai problemi denunciati, ai mali dell’Africa, specchio di quelli dell’umanità intera, che ci fa dire “ce la farà mai l’Africa (=questo nostro mondo) a risollevarsi?” dire che Dio è vicino è affermare che Lui opera per la salvezza del mondo e ci vuole suoi collaboratori. Non scarica il compito di salvare il mondo sulle nostre fragili spalle, ma ci apre la strada: quella del Buon Samaritano, del Servo che si mette in ginocchio a lavarci i piedi, quella dell’Amore indifeso e vulnerabile che paga di persona. E’ una strada
in salita, perché prende l’uomo e le situazioni per farle evolvere, sviluppare, nella Verità ultima che è
l’Amore. Dio che serve l’uomo, che fa sua la nostra causa: un’immagine che il mondo deride ma che la
Chiesa deve incarnare se vuol essere il Suo prolungamento e la rivelazione del Suo volto. Questo Amore è universale, (rivolto a tutti, senza barriere politiche, etniche, ideologiche, religiose), ma concreto, per l’uomo che incontro oggi, qui. Un giorno per strada un ragazzo africano insiste per vendermi dei calzini. “Grazie, ma non mi servono” e poi, stupidamente, aggiungo: “Sai, noi aiutiamo in altri modi l’Africa, ,con le scuole…” E lui: “Ti ringrazio per quello che fate per la mia terra, ma io non sono l’Africa. Io sono io ed ho bisogno del tuo aiuto”. Che lezione! Conoscere i problemi nella Verità, cercare che la Fede diventi Amore, azione concreta: questo il quadro nel quale il papa ha situato il cammino sinodale. In queste settimane si sono sentite al Sinodo tante voci coraggiose di denuncia dei mali che umiliano l’Africa.
Ma l’Africa non è solo il Continente violato. È una terra di grandi valori morali. È un immenso polmone spirituale, come l’ha definita il papa, per un’umanità che appare in crisi di fede e di speranza. Una terra verso la quale il nostro cosiddetto primo mondo non solo ha rivolto le sue brame per la fame di materie prime, ma in cui “sta esportando tossici rifiuti spirituali”.
Il colonialismo, finito sul piano politico, non è mai del tutto terminato.
Parlare dell’Africa è anche parlare di noi, delle nostre Chiese, delle nostre responsabilità, delle nostre chiusure di mente e di cuore: non solo per condannare, per commiserare, ma per imparare a camminare insieme, a farci carico gli uni degli altri, a scambiarci le reciproche ricchezze. Se invece del solito “afropessimismo” dal Sinodo uscisse una ventata di speranza e un sincero impegno di Riconciliazione, di Giustizia e di Pace all’interno anzitutto della comunità cristiana, sarebbe un grande servizio che la Chiesa rende alla Verità del suo Signore.
Don Aldo Martini