"… E poi vinse il sogno"
Questo verso di E.Montale ci può accompagnare nella scoperta degli inizi dell’OPAM. Don Carlo, uomo eminentemente di azione, non ha lasciato scritti sulla gestazione di questa sua creatura. Quello che possiamo sapere, al di fuori dei ricordi affidati alla memoria dei suoi amici e collaboratori dell’inizio degli anni ’70, sempre più rari, lo dobbiamo ricercare nelle annate del giornale dell’OPAM, che sono un po’ il diario di 25 anni (dal 1972 al 1997 circa) della sua vita spesa per il riscatto dei poveri attraverso l’alfabetizzazione. In vista del Convegno del 40° sto sfogliando le umili pagine del giornaletto OPAM, all’inizio un foglio di quattro pagine a due colori, che usciva quando poteva come “Bollettino settimanale di informazione”.
Ho ritrovato tre fogli ciclostilati, datati 1 dicembre 1971 (vedi in fondo), in cui Don Carlo si rivolge agli Amici e Collaboratori dell’OPAM per gli auguri natalizi con queste parole:
“Come si era promesso nel nostro primo contatto del 12 settembre facciamo nascere, in questo periodo d’Avvento - ossia di attesa e di speranza - il Notiziario OPAM. E’ un foglio timido e modesto. Ma appunto perché piccolo e povero potrà essere credibile e offrire una parola di amore e di fiducia a quanti aderiscono alla fratellanza e quindi alla solidarietà universale degli uomini”.
In esso Don Carlo rende conto delle risposte al suo appello del 12 settembre 1971:
“L’abbiamo inviato a 2 mila insegnanti, a 1300 Amici e a 540 Madri Generali. Hanno riscontrato il 4% dei primi, il 3,50% dei secondi e il 10% delle Religiose.
Molte risposte contenevano espressioni di incoraggiamento, suggerimenti, voti augurali. Quattro riportavano senso di sfiducia. Una addirittura scettica e aggressiva, perché “più l’uomo studia e più bestia diventa”. Settantaquattro pervennero con offerte, il cui elenco crediamo opportuno pubblicare, omettendo per delicatezza la provenienza. (…). Totale lire 1.086.000”.
Non fu una pesca miracolosa, ma Don Carlo non si scoraggiò e commentava: “L’esito potrebbe essere deludente. Ma non è così. Padre Angelo, un uomo di Dio tutto d’un pezzo che da 35 anni spende la sua vita tra i nativi dell’Amazzonia, mi diceva giorni fa: “Don Carlo, non si perda d’animo, anzi si rallegri, perché le vere opere di bene sono lente ad attecchire. Quelle che fioriscono subito valgono poco ed hanno vita corta. E’ necessario, proseguiva P. Angelo, che il seme venga sepolto, che soffra le ansie delle difficoltà… poi verrà la primavera della comprensione e della generosità da parte di migliaia di persone...” Quindi coraggio… e gratitudine a quanti hanno offerto la loro preziosa collaborazione e a quanti ancora intendono offrirla. A tutti indistintamente: dalla Madre Generale che ha offerto 200.000 lire, all’anonimo delle 500 lire. Anzi mi è caro ricordare quest’ultimo che scriveva: “dono lire 500 per l’istruzione degli analfabeti. E’ molto poco, lo so. Ma è tutto quanto posso per ora”. E anche un altro (con firma questo) che accompagnava l’offerta di lire 1.000 così: “la carità di S. Martino per un nobile fine”. C’è da rimaner confusi e commossi: il povero che dà per il più povero. Non è forse meraviglioso?
L’idea generalmente è piaciuta a quanti hanno risposto. Amerei riportare certe espressioni, certe testimonianze che fanno onore a questo mondo che, tanto sporco e materialista in apparenza, possiede invece energie e valori degni dei tempi migliore. Sono i “fioretti” dell’OPAM nascente che verranno custoditi gelosamente e fatti conoscere a tempo opportuno”.
Don Carlo ha coscienza di ciò che molti anche fra gli amici pensano di lui, ma va dritto per la sua strada: “Molti penseranno che sono un ottimista o un sognatore. Eppure dalle poche ma consistenti risposte è apparso che il problema è sentito e capito nella sua bontà, e nella sua validità, e si nota un vero interesse ad affrontarlo; perciò la speranza è fondata”.
E a riprova, più forse per incoraggiare gli altri che se stesso, cita “alcune voci che ci arrivano dall’alto e dal basso, dal di qua e dal di là dei mari”.
Mons. Lucien Agboka, Vescovo del Dahomey (ora Benin), Africa: “dobbiamo ammettere che è l’ignoranza la causa dei nostri mali. Nei paesi ricchi non capiscono ancora questo problema a fondo, quindi lo sottovalutano. Noi, Vescovi Africani, daremo certamente battaglia a questo cancro che rode le nostre comunità. Ma saremo aiutati? L’OPAM costituisce per noi una speranza. Auguro perciò che questa opera sia capita dagli italiani, per il bene di tanta gente”.
P. Adolphe Barret, Madagascar: “In Europa si pensa piuttosto a dare un pezzo di pane a chi muore di fame. Questa è carità che non si deve disprezzare. Pochi sono coloro che pensano di mettere chi ha fame in condizione di procurarsi il pane. Questa è vera carità, senso di giustizia e promozione del progresso. Lei ha scelto questa strada, senz’altro più difficile della prima perché con traguardi a lunga scadenza”.
P. Reginaldo Mazzon, Bahía, Brasile: “a venire a conoscenza del suo progetto (…) mi si è gonfiato il cuore di speranza. Ci voleva uno che ha vissuto lunghi anni tra gli analfabeti per capire che se vogliamo vedere un giorno questa gente a non avere più bisogno di noi occorre incominciare proprio da lì! Voglia il Cielo aprire gli occhi e toccare il cuore a tanta gente”.
Un’operaia di Reggio Emilia: “sono d’accordo che l’umanità del Terzo Mondo ha estremo bisogno di istruzione per progredire. Per questo sento che devo aderire al suo movimento”.
Una maestra in pensione di Firenze: “sono felice di poter continuare a rompere il pane della cultura a chi ne è privo. Lo devo fare e lo farò”.
P. Patrik De Souza, direttore della Caritas India, New Delhi: “è vero che i cataclismi della natura non possono essere evitati dall’istruzione. Ma è anche vero che gli uomini con l’istruzione e la preparazione potrebbero superarli ben diversamente. Mi auguro che arrivi presto il giorno in cui ci sarà un’OPAM non solo in Italia, ma in tutti i paesi del mondo, incominciando da noi”.
Una giovane maestra dell’Emilia: “che ha illustrato ai suoi scolari cosa vuol dire essere analfabeta e ha parlato di tanti milioni di ragazzi che non possono avere una scuola. Il risultato lo sentiamo direttamente da lei: “l’hanno preso così sul serio da autoimporsi una privazione settimanale. Ogni sabato versano regolarmente l’importo dei loro sacrifici”. Commovente vero? Lo addito come esempio a tante Maestre non meno sensibili.”
Poi Don Carlo, al quale cominciano ad arrivare richieste un po’ da tutte le parti del mondo appena s’è sparsa la notizia del suo intento, fissa alcuni criteri nella formulazione e nell’accettazione dei progetti, tuttora seguiti dall’OPAM.
I progetti devono essere “concreti, contenuti nei limiti del necessario e d’accordo con le nostre finalità. Mettiamo cioè in rilievo che si deve trattare di piccoli ma validi centri là dove non arrivano le istituzioni ufficiali (cioè nei quartieri-miseria che fanno da squallida cornice alle grandi città e nei villaggi sperduti per le steppe, o lungo i fiumi o nelle foreste). Il nostro proposito è di promuovere l’istruzione unicamente dove mancano le scuole”.
E da uomo concreto azzarda la previsione e il costo di un centro-tipo di alfabetizzatone consistente: nella costruzione di un centro con due aule, una stanzetta per la direzione, servizi, cucina e refettorio (perché, date le condizioni di denutrizione nelle località che ci interessano, è indispensabile offrire almeno un pasto al giorno ai partecipanti); nella fornitura di attrezzature (20 banchi, 2 tavoli con sedie, 2 lavagne e materiale didattico e per la cucina; nel sostegno per un anno (stipendio per l’insegnante, manutenzione locali, libri e quaderni, un pasto al giorno). Il costo: “con £ 1.646.000 diamo la casa-scuola con le attrezzature, e con £ 2.890.000 portiamo avanti il centro per un anno”.
Don Carlo lancia infine la sua sfida e il suo appello, con un perentorio: ”Ora tocca a noi”.
Par di vederlo, con quella luce negli occhi furbi e quel sorriso ammiccante, davanti ai quali non potevi dire di no. Così gettava la sua rete, come un consumato pescatore, l’ex cappellano dei bersaglieri Don Carlo Muratore, e noi a seguirlo nel suo apparente impossibile sogno di un’umanità più libera e più fraterna.
Don Aldo