Il Convegno visto dagli studenti di un liceo

 

Le riflessioni di alcune ragazze sui diversi aspetti  della realtà africana emersi nel Convegno

 

 

Continuano a giungere gli echi del Convegno OPAM, a cui hanno partecipato molti giovani studenti e fra questi i ragazzi della del V°E del Liceo Classico “Anco Marzio” di Ostia. La loro Professoressa, Giovanna Crea, che aveva proposto la partecipazione al Convegno come parte del processo educativo, ci scrive:  

Cari amici dell’OPAM, vi allego un libriccino che raccoglie una serie di relazioni e articoli scritti da una delle mie classi. Ben 3 (su 20) sono dedicati all'OPAM, poiché ho portato i ragazzi ad ascoltare la conferenza che avete organizzato per i 40 anni, e loro l'hanno seguita con attenzione, anzi talora si sono commossi (come la sottoscritta).

E' interessante notare come le ragazze autrici dei 3 contributi siano rimaste colpite da cose diverse tra loro, per cui i loro scritti non sono ripetitivi, ma ciascuna ha evidenziato un aspetto che l'ha coinvolta nel profondo, che ha sentito più vicino alla propria sensibilità. Penso che meritino un posto sul vostro giornale; ve li invio, non tanto per questo, ma per ringraziarVi ancora del Vostro splendido lavoro. A presto”.

Volentieri diamo spazio a queste riflessioni di tre ragazze che hanno colto in pieno il messaggio che il Convegno si prefiggeva di portare.

 

Elena Muggianu

Eleonora Trementini

Ludovica Marini

          

ELENA MUGGIANU - la realtà dell’Africa e l’importanza della famiglia

Terre deserte, povertà, fame, morte.

L’Africa è sempre stata misteriosa, eppure tutti ne parlano e si sentono in diritto di farlo attingendo ad un’ampia gamma di stereotipi. “Mangia! Il cibo non si spreca! Pensa ai poveri bambini africani.” Oppure: “Hai tutti questi giocattoli! Sai cosa darebbero i bambini africani per averne uno solo?”. Tutti ne parlano, ma pochi ci sono stati davvero e l’hanno vista con i propri occhi, che brillano come alla vista di un diamante e si commuovono raccontando storie ed esperienze vissute in quelle terre. Tornano con il cuore pieno di gioia ed una forza incredibile di combattere, affrontare i problemi della vita, consapevoli di quanto questa sia breve e valga la pena di essere vissuta ogni giorno in pienezza e con la capacità ancora di stupirsi, meravigliarsi di fronte a questo miracolo.

Ma da dove viene tutta questa forza, questo rinnovato senso della vita? Proprio di ciò si è parlato nel Convegno internazionale dedicato al Sud del Mondo e intitolato “Umanesimo della fragilità”, tenutosi presso la Biblioteca Nazionale Centrale il 18-19 Maggio 2012, al quale ho assistito con grande interesse insieme ai miei compagni. Ho ascoltato missionari raccontare delle loro esperienze di aiuto e sostegno nei confronti di famiglie povere africane e di ragazzi di strada, ma anche di quanto abbiano ricevuto da questa umanità così fragile: amore e fratellanza. Proprio i cosiddetti ultimi ci insegnano cosa sia una famiglia vera, cosa voglia dire amare, considerare l’altro più di un amico: un fratello.

Ma non siamo noi del Nord del Mondo la civiltà moderna, progredita nello sviluppo e nelle tecnologie? Eppure come siamo indietro nei rapporti umani, nel rispetto dell’altro, nella solidarietà! Molti pensano che in Africa ci siano solo povertà, miseria, solitudine e infelicità. Ma la vera ricchezza qual è? Quella del cuore e dello spirito. Ebbene, allora siamo noi i veri poveri, e abbiamo ancora tanto da imparare.

Potremmo iniziare dal concetto di famiglia.

La famiglia protegge, dà sicurezza, non giudica, non condanna, non uccide, ma ama. Essa è il fondamento della società: qui si apprende a voler bene, ad amare se stessi e gli altri.

Ho sentito la relazione inviata da un papà centrafricano di nome Moїse parlare del suo impegno per donare una famiglia ai bambini di strada, il calore di una mamma ed un papà piuttosto che un freddo e anonimo orfanotrofio. Ad un bambino non basta una casa, un letto e del cibo: ha bisogno dell’abbraccio di una coppia che si ami e che lo ami. Da noi molte coppie decidono di adottare dei bambini perché non riescono ad averne; in Africa, come ci racconta Moїse, si adottano anche dei bambini di strada per permettere loro di avere una famiglia ed essere felici. Così lì le famiglie sono molto numerose e lui stesso, per esempio, insieme a sua moglie Corinne, ha quattro figli “di grembo e di cuore” e sette figli solo “di cuore”, amati tutti allo stesso modo. “La prima reazione dei bambini” – continua Moїse – “era la paura: ci vedevano avvicinarci e scappavano, si nascondevano. Ma poi, vedendo che ci interessavamo a loro e offrivamo loro del cibo rassicurandoli, iniziavano a parlare, a raccontare la loro storia.

Oggi questi bambini sono diventati ragazzi che frequentano il liceo, adulti che lavorano, soddisfatti e orgogliosi delle proprie capacità. Alcuni sono già papà di splendidi bimbi, alcuni propri, molti adottati. Moїse è contento dei frutti del proprio impegno: sa di aver contribuito a creare quelle fondamenta solide, di solidarietà e pace, dalle quali può nascere un nuovo Stato, capace di impartire questa importante lezione al resto del mondo.

Elena Muggianu

 

   

ELEONORA TREMENTINI - pillole di saggezza africana

La partecipazione al convegno per i quarant’anni di attività dell’Opam probabilmente è stata, a mio parere, l’uscita più bella e interessante tra quelle che abbiamo fatto in questi mesi. Quando ho sentito che si tratta di un’associazione impegnata nel promuovere l’istruzione di bambini, giovani e adulti nei Paesi in via di sviluppo, è nata in me una curiosità tale che ho preferito rinunciare a tutto ciò che avevo programmato, per dedicarmi interamente all’incontro.

Questo mi ha chiarito bene le idee e mi ha fatto capire molte cose, alcune delle quali ai nostri occhi  paiono scontate e banali, e invece in Africa recuperano il loro significato originario e profondo. Lì, ad esempio, il buongiorno che si scambiano due persone che si incontrano è solo il preludio di un vero e proprio rapporto umano, di una relazione umana autentica. Si inizia con un semplice “come stai?” e si prosegue col chiedere all’interlocutore notizie del bestiame e degli affari; ciò significa che ci si dedica completamente alla persona che si ha di fronte, perché quel che più conta è la relazione e l’attenzione per la persona. Il saluto, infatti, può durare tantissimo, e anche se un africano ha un impegno importante, come può essere un matrimonio, non si congeda prima di essersi assicurato che il suo prossimo e tutto ciò che gli appartiene stiano bene.

Quella fratellanza, quell’amore reciproco, quegli occhi pieni di vita sono ciò che dovrebbero spingerci ad andare avanti e a trovare un senso alla nostra vita, che è sicuramente ricca di beni materiali, ma povera di amore nei confronti del prossimo. C’è un proverbio africano che dice: “meglio sentir tossire una vecchia che avere la capanna vuota”. Ecco, questo è importante: in Africa, come tutti sanno, c’è malattia, sofferenza, tristezza, carestia, ma in compenso c’è una solidarietà reciproca che spinge quei deboli corpi ad aggrapparsi alla vita, sapendo di poter contare gli uni sugli altri. Essere malati, ma circondati d’amore, è sicuramente meglio che avere una vita sana e prospera, ma vissuta in solitudine.

La famiglia è un altro caposaldo della vita di un africano: è il luogo in cui si impara tutto, il luogo dell’accoglienza, dell’introduzione alla vita, perché proprio da essa viene partorita la persona che diventiamo, ed è sempre la famiglia che lentamente e con amore innaffia quel fiore che prima o poi sboccerà, è in lei che ci rifugiamo quando tutto il resto del mondo sembra respingerci. In Africa il concetto di famiglia non è solo quello di un nucleo umano costituito da consanguinei, poichè molti africani adottano bambini soli e abbandonati e li amano come propri. Li chiamano figli del grembo e figli del cuore: i primi sono quelli biologici e i secondi quelli adottati, tolti dalla strada, ma vengono tutti amati ugualmente e indistintamente come figli di Dio. L’Africa è un continente spesso dimenticato e abbandonato a se stesso, ma ricco di nuove e giovani vite, e chissà se proprio tra quelle non ci sia il futuro Einstein? Un’associazione come l’Opam riveste un ruolo importante proprio in questo: nel dare una possibilità, una speranza, per permettere a quei piccoli e fragili germogli di crescere e diventare sani e robusti, forti e capaci di affrontare la vita.

C’è un altro proverbio africano che recita: “chi ha una lanterna non mangerà formiche”, ossia chi è accompagnato e seguito nella propria vita, chi è istruito e amato non si ritroverà sicuramente a essere sottomesso o strumentalizzato da altri.

Spesso si prova pena per questa gente, ma in seguito a questo incontro ho capito che i missionari, le suore e tutte le persone che decidono di dedicare la propria vita agli altri, cercando di renderla migliore, non tornano da quei luoghi tristi e scoraggiati, bensì ancora più forti e pieni d’amore, come se fosse stata quella gente bisognosa d’aiuto ad aver insegnato loro a vivere.

Durante il convegno una suora missionaria ha raccontato parte della sua esperienza, ed è stata lei quella che più mi ha colpito. Ci ha raccontato che è una continua lotta avere a che fare con la mentalità, spesso superstiziosa, degli africani; per esempio essi interpretano alcuni episodi della vita come fatti di stregoneria. Se i loro figli hanno anche un semplice raffreddore, non sapendo che si tratta di un’affezione normale e curabile, li portano da uno stregone, il quale, per cercare di scacciare “il demone”, infligge su povere creature sofferenze atroci.

Un episodio che la suora ci ha raccontato e che vorrei riportare è questo: la storia di un nonno e di un nipote. Un giorno, alla capanna dove questa suora offriva cure mediche, giunse un anziano signore con dei piedi lunghi e stanchi (così li ha definiti) che aveva attraversato tutto il villaggio scalzo, e con il nipote in fin di vita in braccio. Durante il racconto gli occhi della suora si riempivano di lacrime e contemporaneamente anche i miei. Una volta giunto lì, questo anziano affidò il nipote alle cure della suora la quale, purtroppo però, non riuscì a salvarlo. Dopo che la suora comunicò al vecchio la perdita del nipote, il nonno entrò nella stanza, lo abbracciò come se fosse ancora vivo, quasi a sperare che quell’abbraccio ricco d’amore e di rassegnazione fosse sufficiente a ridonargli il respiro.

L’esperienza di osservare un po’ più da vicino questo mondo, le sue difficoltà, ma anche le sue gioie, mi è stata molto d’aiuto e ha illuminato orizzonti per me non ancora limpidi.

Eleonora Trementini

   

LUDOVICA MARINI - lezioni dal Sud del Mondo 

Il 18 Maggio 2012 mi sono recata, insieme ad alcuni miei compagni e la professoressa, ad assistere al convegno organizzato dall’OPAM (Opera di Promozione dell’Alfabetizzazione nel Mondo) in occasione dei suoi 40 anni di attività, dal titolo “Umanesimo della fragilità: lezioni dal Sud del Mondo”. Lo scopo era quello di mostrare a noi occidentali, tramite immagini, racconti e testimonianze, gli stili di vita e le culture tipiche dell’Africa, continente tanto tecnologicamente sottosviluppato quanto umanamente affascinante.

Il primo dei temi trattati è stato quello della famiglia e dell’adozione: purtroppo, a causa della notevole arretratezza culturale e della conseguente inclinazione alla superstizione, propria di molti villaggi, in Africa ancor oggi numerosi bambini sono allontanati dalle proprie famiglie con l’accusa di essere portatori di malocchio, una sorta di bimbi-stregoni. Così i sensi di colpa che essi accumulano crescendo li inducono a credere di non poter mai essere amati. Per questo motivo l’adozione diventa il mezzo più efficace per assicurare loro una vita serena e far comprendere il significato dell’amore.

Questo sentimento occupa un posto importante nel sistema di valori dei popoli africani, come dimostra una frase che ho sentito pronunciare proprio da un missionario congolese: “Siamo fratelli perché viviamo nello stesso villaggio. Non siamo tutti figli dello stesso ventre, ma figli dello stesso cuore”. Tale concetto è stato approfondito nella seconda parte del convegno, dove è emersa la concezione totalizzante della vita che hanno gli Africani, per i quali essa ha il compito di “allargare gli orizzonti della razionalità”.

Il Papa parla di spiritualità, l’Africa di realtà”. E’ questa la citazione più adatta a spiegare la concretezza e, allo stesso tempo, l’entusiasmo con cui viene vissuta gran parte della vita comunitaria, della religione e della cultura in Africa. In quei luoghi non sussiste differenza tra questi tre aspetti della tradizione, poiché tutto è vissuto nella globalità e nell’unità più totali. Anche il concetto che hanno di Dio è sicuramente più concreto di quello occidentale. Egli incarna il cielo e la terra, gli alberi e gli animali, la salute e la malattia, la famiglia, che ha al suo centro l’uomo e l’amore di cui è capace, il canto e il lavoro e tutto ciò che unisce trascendenza e realtà.

Vieni a partecipare alla vita!”. E’ questa l’essenza della stupenda visione che si ha in Africa di un dono che, invece, troppo spesso in Occidente non viene valorizzato.

Il convegno si è concluso con un “elogio della lentezza”, finalizzato ad evidenziare la totale assenza, nella mentalità africana, del concetto di “fretta”. Si è sottolineata, infatti, l’importanza di vivere ogni attimo che ci è concesso, di lasciarsi stupire da ogni elemento della natura e di lodare l’essenza di quel Dio che è in ogni cosa, celebrando l’unità e la pace tra gli uomini, e il valore che ognuno di essi ha, che è infinito.  

Ludovica Marini