Hai un cellulare o un computer portatile o altri strumenti simili? Sarai d’accordo con noi nel dire che oggi non si può fare a meno, se non molto difficilmente, di queste “meraviglie tecnologiche”. Esse rappresentano un grande passo che l’uomo ha fatto in questi ultimi decenni per migliorare la qualità della vita. Ma a quale prezzo? La Repubblica Democratica del Congo ha fatto e continua a fare le spese di queste nuove tecnologie. Dal 1996 il Paese è in preda a ricorrenti guerre che già hanno mietuto la vita di oltre cinque milioni di congolesi. E attualmente, ancor più che negli anni passati, si sa che queste guerre hanno un nome: “guerre del coltan”. Nonostante i disastri umani, materiali ed economici che esse hanno causato, nessuno ne parla ad alta voce.
Conosci la Repubblica Democratica del Congo?
La nazione è detta anche più semplicemente Congo o “Congo-Kinshasa” per distinguerla dalla vicina Repubblica del Congo, che per la stessa ragione viene chiamata anche “Congo-Brazzaville”. Dal 1908 al 1960 questa antica colonia era detta “Congo Belga” o anche fino al 1966 “Congo-Léopoldville”. Dal 1971 al 1997 sotto il regime di Mobutu prese il nome di Zaire, per assumere infine la denominazione attuale di Repubblica Democratica del Congo (RDC). Il Congo è il secondo più grande paese dell’Africa per estensione, con una superficie di 2.345.409 km² (grande quattro volte la Francia e ottanta volte il Belgio) e con una popolazione di circa 70 milioni di abitanti. Il nord del Paese rappresenta una delle più grandi estensioni di foresta equatoriale del mondo. Il sud e il centro, costituiti da savane alberate, formano un altopiano ricco di minerali. Il Paese possiede un notevole potenziale di risorse naturali e minerarie, che alcuni qualificano come “scandalo geologico”, ma la popolazione è una delle più povere del mondo. Tra le enormi ricchezze del sottosuolo (diamanti, oro, rame, uranio…) si calcola che il Congo detenga dal 60% all’80% di riserve mondiali di coltan, principale causa dei recenti sanguinosi conflitti.
Che cos’è questo “minerale che uccide”?
Il termine “coltan” deriva dalla combinazione di “col” (“columbite”) e “tan” (“tantalite”), parola quindi composta per designare un minerale di colore nero o bruno-rosso che contiene l’associazione di due minerali, la columbite e la tantalite. Gli interessi economici e strategici delle più grandi potenze mondiali per il controllo del coltan ci spingono a riflettere sulla sua importanza, giacché il coltan è un minerale utilizzato nell’industria elettronica, aereospaziale e in quella degli armamenti... Il tantalio estratto dal coltan è molto apprezzato per la sua grande resistenza alla corrosione. Considerato come metallo strategico, esso è utilizzato soprattutto nella fabbricazione di condensatori per attrezzature elettroniche (telefoni portatili, GSS, armi teleguidate, plasma TV, consolle per video giochi, lettori mp4, apparecchi fotografici, telecamere, visori notturni, cellule fotovoltaiche…), ma entra largamente anche nella composizione di leghe di cobalto e di nichel nell’aeronautica e in modo particolare nella fabbricazione di reattori, missili e satelliti.
Quando la mano invisibile diviene visibile
La guerra (soprattutto nelle due province del Nord e Sud Kivu) è stata spesso descritta come guerra “etnica”. Oggi quasi tutti sono d’accordo nel dire che il “coltan” è al centro della guerra nella Repubblica Democratica del Congo, uno dei conflitti più sanguinosi dopo la Seconda Guerra Mondiale. Molte relazioni, fra cui quelle delle Nazioni Unite e di varie ONG, le testimonianze dei vescovi e dei missionari che lavorano in questa regione, hanno messo a nudo la realtà della guerra come un conflitto molto più vasto, con implicazioni economiche e strategiche che vanno molto al di là del Congo e della stessa Africa. I differenti movimenti di guerriglia che agiscono nelle due province congolesi del Kivu si disputano il controllo dei giacimenti minerari. Dietro tali movimenti ci sono molti stati africani, fra cui il Ruanda, l’Uganda e il Burundi. Alcune multinazionali, come Nokia, Alcatel, Apple, Nikon, Ericsson, sono chiamate in causa per il finanziamento indiretto delle guerre giacché pagano tasse ai gruppi armati di ribelli. Si deve allora continuare a parlare semplicemente di guerra ”etnica” o “tribale”? Non si tratta invece di una maniera di occultare la realtà con tali espressioni e, così facendo, di rendersi complici di coloro che vogliono continuare a sfruttare impunemente questo Paese a scapito dei suoi abitanti?
Un po’ di dignità, per favore!
L’estrazione dell’“oro grigio” avviene ancora in modo rudimentale. Essa somiglia a quella dei cercatori d’oro del XIX secolo in America. Un operaio produce circa un chilo di coltan al giorno; che gli fa guadagnare un salario che va da 10 a 50 $ USA alla settimana, mentre normalmente un operaio congolese guadagna 10 $ USA al mese. Il boom del coltan ha fatto salire vertiginosamente il suo prezzo fino a raggiungere i 500 $ USA al chilo. Siccome l’estrazione del coltan dà un guadagno “relativamente buono”, giovani agricoltori e allevatori, rifugiati, migliaia di ragazzi (il cui corpo esile si può con facilità introdurre nei cunicoli sotterranei) lavorano nelle miniere in condizioni del tutto indegne di persone umane. E ciò non senza conseguenze: i ragazzi non vanno più a scuola, molti giovani muoiono a causa di smottamenti, di malattie… (si calcola che ogni chilo di coltan sia estratto a prezzo della vita di due ragazzi), senza parlare delle violenze sulle donne e sulle ragazze da parte dei gruppi armati. Lo sfruttamento illegale del coltan aiuta a mantenere truppe straniere nel Kivu e mette in pericolo l’ecosistema forestale del Paese.
Che cosa fa la Chiesa di fronte a questa situazione?
La Chiesa cattolica del Congo, attraverso la Commissione “Giustizia e Pace”, guidata dal cappuccino Mons. Fridolin Ambongo, Vescovo della diocesi di Bokungu-Ikela, non risparmia sforzi per riportare la pace nella regione del Kivu. Ne sono testimonianza le numerose iniziative di “perorazione” presso le rappresentanze diplomatiche delle potenze occidentali, come i numerosi viaggi per la sensibilizzazione dell’opinione internazionale.
In loco i militari dell’M23 (“Movimento per il 23 marzo”, nato da una precedente ribellione “convertita” in movimento politico), guidati dal generale Bosco Ntaganda, continuano a conquistare territori minerari e stabilirvi un’amministrazione parallela. La Conferenza Episcopale del Congo (CENCO) vede in queste guerre ricorrenti una minaccia di balcanizzazione, ossia di smembramento della nazione. Per questo, il 1° agosto, essa ha organizzato in ogni parrocchia una marcia “di speranza” per la pace e contro la guerra nell’Est, preceduta da giornate di intense preghiere in favore della pace. Una manifestazione che ha riscosso un grande appoggio da parte del governo congolese. La decisione di organizzare questa “marcia di speranza” è stata presa dai vescovi al termine della 49ª assemblea plenaria della Conferenza Episcopale Nazionale del Congo nel luglio scorso. In tale occasione in una dichiarazione pubblica i vescovi avevano detto “no alla balcanizzazione della R.D. del Congo”, affermando il loro attaccamento all’unità nazionale congolese e all’indivisibilità del Paese nelle frontiere scaturite dalla colonizzazione e riconosciute dalla Comunità internazionale il 30 giugno 1960.
E noi?
È impossibile per i cristiani e gli uomini di buona volontà dormire sonni tranquilli quando il popolo congolese soffre nella sua dignità di “popolo creato ad immagine e somiglianza di Dio”. Più questo popolo soffre, più noi siamo interpellati dal nostro “amore di Dio e amore del prossimo” che comporta la ricerca della pace, la promozione della giustizia e la salvaguardia del creato. La sfida è di grandi proporzioni e necessita di una risposta urgente da parte nostra. Diamo la nostra risposta e aspettiamo che anche gli altri diano le loro. Soltanto in questa maniera potremo alleviare in nome del Vangelo, anche se di poco, la miseria di questo popolo che vive e si muove su immense ricchezze senza trarne alcun vantaggio. L’indifferenza non è cristiana!
P. Bruno Kesangana Nandaba
(frate cappuccino congolese)