Il linguaggio dei gesti. Gesti profondamente umani… per costruire un mondo più umano
Quando si saluta
In Centrafrica, il mio Paese dove vivo, ci sono due modi di rispondere ad una saluto: il modo più lungo che corrisponde al modo universale e il modo più breve che è più originale. Quando qualcuno saluta «balao» (ciao in sango, la lingua nazionale), si risponde normalmente «bara mingi» (cioè ciaoooo! oppure ti saluto tanto tanto). Però a volte si risponde solamente «singila» oppure «merci!» (grazie! col significato di ti saluto e grazie di avermi salutato). E’ tutta una filosofia che sfugge all’occidentale che si adombra e pensa subito a una mancanza di rispetto oppure a ignoranza.
Un giorno due missionari che vivevano rispettivamente in due diversi Paesi africani vicini si bisticciano. Il primo, parlando all’altro missionario, dice: «da voi, i bambini sono idioti. Quando dici «bonjour!», loro rispondono «merci», mentre nel paese vicino i ragazzi rispondono «bonjour!». E il suo amico risponde: «ti sbagli parlando così. Devi imparare a conoscere le abitudini di questa gente prima di giudicarli. Quando loro rispondono «grazie», non è per mancanza di istruzione ma per gratitudine. E’ una forma di rispetto: «ti saluto e ti ringrazio di avermi salutato!».
Il senso di rispetto
Abbiamo tanto da imparare gli uni dagli altri. Proseguiamo l’esplorazione della nostra realtà umana. Il parroco di una parrocchia riceve un giorno in sacrestia prima della messa il giovane Odilon, un ragazzo molto bravo che il parroco intende mandare in seminario. Lui è convinto che questo ragazzo sarà un buon prete, ma non riesce a capire perché abbassa sempre la testa per parlare e rispondere alle domande. Questo comportamento fa supporre una mancanza di sincerità. Però non si tratta di mancanza di sincerità, è solo una forma di rispetto. In questo Paese, nella tradizione, non si alza la testa per parlare a un adulto e non si deve neppure guardare il proprio interlocutore adulto negli occhi. Il contrario è una mancanza di rispetto. Eppure il parroco non l’ha ancora capito nonostante i suoi trenta anni di missione in questo posto.
Un giorno ha provato a dire a Odilon: «je veux que tu me regardes dans les yeux, quand je te parle!» (voglio che mi guardi negli occhi quando ti parlo!). E il ragazzo risponde: «A scuola ho imparato anche questo. Ma a casa non mi è permesso di guardare i miei genitori negli occhi quando parlo con loro. E’ un segno di rispetto. Non sono un vigliacco. Sono semplicemente educato secondo la mia tradizione. Eppure se vuoi che ti parli guardandoti negli occhi, non me ne farò un problema! Normalmente quando si parla ad un adulto, ad esempio, ci si inchina oppure ci si mette in ginocchio in segno di rispetto…».
Siamo davvero fragili perché ci accorgiamo sempre dopo aver commesso «la gaffe» di giudicare ‘a priori’. Abbiamo tanto da imparare dagli altri, dai loro gesti che spesso non hanno lo stesso significato. Non basta aver una buona istruzione, una buona formazione in filosofia oppure in antropologia per pretendere di capire tutti i gesti dell’altro che proviene da un Paese diverso oppure da un Paese del Sud del Mondo, come si dice. Questo si impara alla scuola della vita, giorno dopo giorno. Bisogna entrare in dialogo con l’altro per poter capire che a volte diciamo la stessa cosa con gesti diversi! E’ proprio questa la cosa più bella.
Nella vita di tutti i giorni, ci sono ancora tante barriere di ignoranza da eliminare per accogliere e apprezzare la ricchezza della diversità. Però lo stiamo già facendo… E lo faremo ancora con tutta questa voglia di costruire un mondo sempre più bello e più umano.
Jean Marius T. Zoumalde, ofmcap
(Repubblica Centrafricana)