P. Jean-Bertin Nadonye

 

LA FRAGILITA' DELL'UOMO DEL SUD: PER UN DIALOGO CON L'UOMO DEL NORD

 

 

 

 

 

La fragilità dell’uomo del Sud: per un dialogo con l’uomo del Nord

 

L’uomo per sua natura è fragile. Di fronte all’impossibilità di risolvere tutti i problemi che la vita gli pone, fa l’esperienza del suo limite e della sua evidente fragilità.

Questo è ancora più palese nell’uomo del Sud del Mondo rispetto a quello che vive nel Nord. Quest’ultimo infatti, consapevole della propria fragilità, nel corso della storia ha reagito e lottato per ridurne la virulenza.

Al contrario nel Sud del Mondo questa fragilità è vissuta il più delle volte come una fatalità che va accettata come tale, poiché costitutiva della natura umana.

Per renderci conto dell’importanza attuale di questa problematica e delle conseguenze dei due diversi modi vivere la fragilità, occorre innanzitutto fare un’analisi della situazione al fine di proporre possibili soluzioni per l’avvenire e trarre quelle lezioni che il Sud può donare al mondo intero.

 

L’esperienza della fragilità umana infatti, sebbene riconosciuta in ogni angolo del pianeta, non è tuttavia recepita o vissuta da tutti nello stesso modo. Prendendo in considerazione ad esempio i due blocchi, Nord e Sud del Mondo, è già possibile osservare una netta differenza.

Le difficili condizioni di vita del Sud continuano ad allargare il divario col Nord, se si considera il numero impressionante di persone drammaticamente private della vita a causa della fame, delle guerre, della mancanza di acqua potabile, di medicine, di adeguate condizioni igieniche, dell’analfabetismo, ecc. Tutte problematiche che nel Nord del Mondo sono largamente superate ormai da parecchi decenni. In queste condizioni di vita, l’uomo del Sud appare in tutta la sua fragilità.

Limitato dalle leggi della natura e dalle condizioni ambientali, incatenato alla stretta osservanza e al rispetto degli usi e costumi della propria tradizione o di religioni che promettono una felicità immediata, vittima dei suoi stessi regimi politici asserviti agli interessi personali dei governanti, l’uomo del Sud appare il più fragile di tutti.

Fortunatamente il mondo è diventato un piccolo villaggio, e il confronto risveglia oggi più di ieri la coscienza dell’uomo del Sud di fronte a queste situazioni disumane. Egli inizia allora ad impegnarsi per migliorare le proprie condizioni di vita, aiutato anche da alcune realtà come ad esempio la Chiesa e diversi organismi sociali caritativi[1] che l’assistono in questo sforzo di correggere la sua mentalità rassegnata ad accettare la propria situazione come una fatalità. Se è vero infatti che la fragilità è costitutiva della natura umana, essa non ne rappresenta la condizione ideale. Se senza dubbio è fondamentale che ogni uomo abbia coscienza di questa sua insita fragilità, tuttavia egli, proprio per la sua dignità di creatura, fatta ad immagine e somiglianza del Creatore, è chiamato a cercare di ridurne almeno in parte gli effetti senza dimenticare che non deve unicamente affidarsi alle proprie forze, ma può fiduciosamente contare su Dio con il cui aiuto tutto è possibile.  

L’uomo del Sud non può ridurre le conseguenze e l’impatto della fragilità se non impegnandosi in un lavoro di trasformazione su un duplice fronte, interno ed esterno.

A livello di coscienza personale egli deve operare un cambiamento assiologico, per convincersi di essere stato creato per il bene, per la felicità e non per il male e la sofferenza. La fragilità non è determinata dalla zona geografica di origine, ma costituisce la verità comune di ogni uomo: di essa si può diminuire la portata migliorando alcune condizioni di vita. Non è normale ad esempio che si possa perdere la vita per una malattia banale, facilmente prevenibile o curabile[2].

A livello sociale l’uomo del Sud dovrà operare una trasformazione creativa delle proprie condizioni di vita attraverso i mezzi e le conoscenze rese disponibili dalla scienza e dalla tecnica. Deve prendere dimestichezza con quei mezzi che possono aiutarlo a ricuperare la propria dignità umana.

L’uomo del Sud deve impegnarsi in questo slancio di trasformazione con umiltà, senza ignorare la fonte e l’autore di ogni progresso e sviluppo: Dio, il quale deve rimanere il suo partner principale.

Ecco la lezione che il Sud del Mondo ha da donare al Nord.

Le condizioni di estrema povertà e di miseria indescrivibili, nelle quali vive l’uomo del Sud, non hanno tuttavia mai affievolito in lui il senso di umanità. Quest’uomo malgrado le condizioni deplorevoli in cui vive, resta ancora profondamente uomo di relazione. Egli crede fortemente nella società, che rappresenta il suo spazio vitale primordiale. E’ legato alla società ed è cosciente del proprio insostituibile ruolo come anello di questa grande catena. Per questo motivo egli partecipa attivamente alla vita della propria comunità condividendo con gli altri tutti gli eventi felici (nascita, matrimonio e tutte le altre occasioni di feste), come gli eventi tristi (lutto e guerre).

Consapevole che la società è il luogo dove l’essere umano si realizza pienamente, l’uomo del Sud è anche pienamente solidale. Egli assiste coloro che pensa siano più bisognosi di lui e condivide il poco che possiede. La sua è una vita votata agli altri. Tutto ciò lo fa disinteressatamente, senza pensare ad una ricompensa né ricercando un vantaggio personale nei gesti di attenzione e di servizio all’altro. Dona gratuitamente, senza secondi fini.

In ultimo egli è profondamente religioso. Vive una vita in armonia sia con la natura che con l’Essere Supremo nel quale ha una fede ferma, perché è considerato il principio della vita sua e della sua comunità. Egli sviluppa questo senso religioso attraverso il culto a Dio, le preghiere e la pratica delle altre virtù umane e cristiane.

L’uomo del Sud si mostra agli occhi del mondo con il volto di un uomo sereno, gioioso, che non ha difficoltà a realizzare il motto francescano “Pace e Bene”. Questi sono i valori che l’uomo del Sud può offrire a quello del Nord.

P. Jean-Bertin Nadonye

(Vice-Prov. dei Cappuccini in Congo)



[1] Pensiamo in modo particolare all’OPAM, ai preziosi servizi resi per migliorare attraverso l’alfabetizzazione e l’istruzione le condizioni delle persone in tutto il mondo in questi  40 anni dalla sua fondazione. Cogliamo l’occasione per presentare le nostre vive felicitazioni a tutti coloro che hanno lavorato in questa grande opera. Possa Dio benedirli e proteggerli.

[2] Facciamo qui riferimento alla morte dell’Abbé Bienvenu della diocesi di Bokungu-Ikela che l’OPAM ha ricordato in un articolo sul Blog della diocesi, deplorando le condizioni del decesso imputabili alla mancanza delle medicine per la cura del diabete.