Le lezioni dei piccoli

 

I BAMBINI DEL SUD DEL MONDO CI INSEGNANO A GIOCARE

 

 

 

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Il gioco rappresenta per un bambino, in qualunque latitudine viva, l’attività formativa per eccellenza e la prima scuola di vita.

E’ attraverso il gioco che il bambino impara a conoscere se stesso e i propri talenti, a rapportarsi con l’ambiente circostante e con gli altri. E questa prima ed importante attività lega l’apprendimento ad una condizione di piacere, legame fondamentale, affinché ogni altro “apprendere” sia vissuto come attività ludica e pertanto liberante e non come un compito gravoso e coatto.

Nulla è più serio del gioco, per imparare l’importanza delle regole del vivere insieme e valori come la lealtà, la collaborazione, la gratuità e comprendere che è possibile incidere sulla realtà per trasformarla trovando soluzioni sorprendenti ed originali…

“…l'uomo è pienamente tale solo quando gioca", dice Schiller. Ma allora mi chiedo chi è l’uomo di oggi e se tanti dei mali che affliggono la nostra società non siano in qualche modo legati ad una progressiva trasfigurazione del concetto di gioco.

Durante il lavoro di ricerca per presentare nei prossimi numeri alcuni dei giochi più popolari fra i bambini del sud del mondo, mi sono ritrovata a percorrere con la memoria i giochi che hanno popolato la mia infanzia. I nomi dei giochi sono diversi ma il giochi sono gli stessi che facevamo noi over 50 da bambini: Kukulu un gioco Etiope simile a nascondino, Kameshi Ne Mpuku, un gioco congolese simile a gatto e topo, Mbube Mbube (leone=in lingua zulu’molto amato dai bambini sudafricani simile a moscacieca

Tanto c’era di comune con i giochi dei bambini del sud del Mondo di oggi da far ritenere il gioco come un’attività universale che andrebbe protetta e difesa come patrimonio dell’umanità .

I nativi digitali sanno navigare ma non nuotare, sanno cos’è un tablet ma non sanno giocare a nascondino, compiono acrobazie virtuali ma non hanno mai saltato una corda…

Ma ci sono competenze che il bambino acquisisce attraverso il gioco e sono abilità fondamentali per fare di lui essere umano capace di riassemblare i “resti” del mondo per farne un giardino fiorito. Penso ai tappi di bottiglia, alla batteria costruita con il fustino del detersivo e il coperchio di latta di una scatola di biscotti, allo scatolone della tv che è stata una casetta delle mie bambole per tanto tempo… Nei giochi proposti oggi il bambino è sempre più “utente” sempre meno “ideatore”, chiamato a compiere gesti ripetitivi, derubato della fantasia, della sorpresa, dell’avventura.

I giochi di ruolo “facciamo che io ero…e tu…” aiutavano i bambini ad uscire da un microcosmo di cui lui era il centro e a mettersi nei panni degli altri, a sperimentare un’empatia sociale fondamentale per comprendere i diversi ruoli nella famiglia e nella società e i rapporti reciproci che li regolano.

Quando ero bambina la strada era il luogo privilegiato dei nostri giochi. Era lì che ci si incontrava con gli altri. Non serviva necessariamente un parco per vivere all’aperto avventure fantastiche perché la presenza degli altri compagni era capace di trasfigurare l’”ovvio” di una strada nella più spettacolare area di gioco. L’urbanizzazione ha reso la strada un luogo pericoloso ma la mercificazione del gioco ha fatto il resto tanto che oggi i nostri bambini giocano in uno spazio poco più ampio di quello che occupa il loro corpo, uno spazio sempre identico perché che sia in casa, in riva al mare, in macchina o in un parco è lo spazio delimitato dal corpo del bambino e da uno schermo.

Ancora oggi nel sud del Mondo non esiste il concetto di gioco individuale. Il gioco coinvolge sempre un numero alto di giocatori. Il passaggio fisiologico dal gioco individuale al gioco di gruppo che normalmente inizia intorno a 4-5 anni di età è una delle tante esperienze ludiche negate ai nostri bambini che restano eternamente intrappolati in una sfera ludica individuale (fatto salvo che tentare di recuperare la dimensione collettiva da adolescenti attraverso la costituzione di bande di “bulli” e da adulti tormentando d’inviti a giocare i loro amici più o meno virtuali sui social network). Mi aveva stupito due anni fa, facendo supplenza in una classe di catechismo, che quasi nessuno di quei ragazzi avesse mai giocato a ruba bandiera. Ho impiegato tantissimo tempo a far comprendere ed eseguire un gioco con regole semplici e ho penato non poco a che si creasse uno spirito di squadra: ciascuno giocava per sé, assolutamente incapace di sentirsi coinvolto in un risultato di squadra. E mi sono resa conto che finché non fossi riuscita ad aiutare quei ragazzi a riappropriarsi della capacità di giocare insieme, ogni altro discorso sarebbe stato inutile: concetti come Legge, Comunità, Servizio… parole vuote o nella migliore delle ipotesi interpretate in modo moralista e buonista.

Tantissime sarebbero ancora le riflessioni da fare sul gioco e ci proponiamo di continuare a condividerne altre nei prossimi numeri del giornale. Ma intanto sarebbe importante approfittare delle vacanze estive per dedicare un po’ di tempo per riflettere su come giocano i nostri ragazzi e favorire opportunità di gioco di gruppo per comprendere che l’altro/gli altri sono il dono più grande. Buone vacanze.

Anna Maria Errera

 

I bambini del Sud del Mondo vi propongono un gioco

Mamba (Sudafrica)

 

GIOCO E’ un gioco da fare su uno spazio grande (piazzale, prato, spiaggia) ben delimitato in cui possano correre tanti bambini. Il Mamba è uno dei serpenti africani più velenosi. Un bambino impersonerà il Mamba che cercherà di prendere gli altri giocatori toccandoli. Il giocatore catturato diventa parte del serpente e tenendo le mani sulle spalle del Mamba si muoverà con lui per catturare gli altri che potranno essere toccati però soltanto dalla testa del Mamba (il primo Mamba designato). Il serpente diventerà così sempre più lungo. Il gioco finisce quando rimane solo un giocatore libero. L’ultima persona catturata sarà il nuovo Mamba. Chi esce dall’area, viene squalificato.