MALALA DAY

 

UNA GIORNATA SPECIALE PER UNA QUOTIDIANITA' DI ORDINARIA INGIUSTIZIA

 

 

 

 

 

 

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MALALA DAY

Una giornata speciale per una quotidianità di ordinaria ingiustizia

 

Malala Yousafzai è una ragazzina di 15 anni. Vive a Mingora, una città nella Swat Valley nel Nord Ovest del Pakistan a 50 miglia dal confine con l'Afganistan.

Malala viene educata dalla sua famiglia all'amore per la cultura e all'impegno per la giustizia. Suo padre Ziauddin è un insegnante. E' fondatore e direttore della Khushal School and College una scuola privata di alto livello ed è presidente del Private Schools Management Association Swat. Ma accanto a questo impegno di educatore c'è anche quello a difesa dei diritti. Ziauddin Yousafzai è infatti portavoce dello Swat Qaumi Jirga, un gruppo antitalebano che opera in questa regione e presidente del Global Peace Council. E' un eroe popolare nella Swat Valley. E' un uomo dalle vedute aperte e molto colto, che sogna e lotta per un Pakistan in cui uomini e donne abbiano gli stessi diritti, innanzitutto la possibilità di ricevere un'istruzione.

Agli inizi di gennaio del 2009 i Talebani prendono il controllo della Swat Valley. E' in questo periodo che la BBC in Pakistan comincia a pubblicare in un blog il diario di Malala, che scrive con lo pseudonimo di Gul Makai. In esso la bambina, allora undicenne, racconta in diretta ciò che sta accadendo nella sua città.

 

"Solo 11 studenti su 27 sono venuti in classe oggi. Il numero di studenti è sceso a causa dell'editto Talebano. Le mie 3 amiche si sono trasferite a Peshawar, Lahore e Rawalpindi con la loro famiglia. Io sono andata a scuola lo stesso, ma sulla strada del ritorno ho sentito un uomo che diceva: "Ti ucciderò". Ho accelerato il passo e quando mi sono girata non c'era più."

 

"Oggi, andando a scuola, ero di cattivo umore. Le vacanze invernali iniziano domani e il preside della scuola ha annunciato l'inizio delle vacanze senza però indicare quando sarebbe ripresa la scuola. E' la prima volta che succede... Il preside non ne ha spiegato le ragioni... ma io penso che sia legato al fatto che i talebani hanno annunciato che l'istruzione femminile è stata bandita. 

Nessuna ragazza, questa volta, è contenta di andare in vacanza, perché sa che forse la scuola non riprenderà più... Molte famiglie hanno deciso di trasferirsi in altre città che non sono sotto il controllo Talebano per poter permettere alle proprie figlie di continuare ad andare a scuola."

 

Le scuole femminili della zona vengono trasformate in roghi e il 15 gennaio definitivamente chiuse, compresa la scuola di Malala e quella di suo padre. Anche la famiglia Yousafzai, come altre famiglie, lascia Mingora verso zone più sicure, dove le loro figlie possano ricominciare ad andare a scuola e vivere una vita normale.

La stampa internazionale da risalto a Malala, tanto che nel 2011 ella ottiene due riconoscimenti ufficiali: la nomination per il Children's Peace Prize, premio assegnato da Kids Rights Foundation per la lotta ai diritti dei giovani ragazzi, e il Pakistan's first National Youth Peace Prize , oltre a diversi supporti economici e morali alla sua battaglia.

Malala ama studiare: il suo sogno di bambina è di diventare medico. Ma il sogno di suo padre è che si occupi di politica. In un filmato girato nel 2009 da Adam B. Ellick[1] Malala afferma, come avrebbe detto qualunque bambino del mondo di 11 anni: "io non amo la politica". Ma il papà risponde: "vedo grandi potenzialità in mia figlia. Può fare molto di più che diventare medico. Può creare una società in cui gli studenti di medicina possano facilmente accedere alla loro formazione". E alla fine del lungo filmato girato in diverse riprese, dopo l'esperienza del vivere lontana dalla propria terra il sogno di Malala e quello del papà coincidono: impegnarsi in politica affinché vengano riconosciuti i diritti delle donne in Pakistan.

Malala comincia a fare dichiarazioni pubbliche. Il suo motto è "Dateci penne o i terroristi ci metteranno in mano le armi". Il suo impegno e la risonanza che a questo viene dato la espongono sempre più, tanto i Talebani minacciano di ucciderla.

Il 10 ottobre scorso, alla vigilia della Ia giornata per i diritti delle bambine, la tragedia: mentre Malala torna da scuola il bus sul quale viaggia viene fermato e qualcuno spara a Malala in testa e ferisce altre due sue compagne. La Televisione riesce ad offrire al mondo le immagini dell'arrivo dell'ambulanza che trasporta Malala in ospedale. Viene operata e nei giorni successivi trasferita all'Ospedale di Birmingam in Inghilterra. Le sue condizioni migliorano giorno dopo giorno.

Il mondo è sotto choc per questa piccola che con coraggio difende il diritto delle donne tanto che

le Nazioni Unite hanno proposto di proclamare il 10 novembre come “Malala Day perché la sua storia diventi speranza per i milioni di bambini e soprattutto bambine nel mondo che non hanno accesso all'istruzione. La giornata è stata celebrata in 100 Paesi. E ora c'è una proposta per assegnare a Malala il Nobel per la Pace.

Ho seguito la vicenda di Malala fin dall'inizio. Per chi come l'OPAM è impegnato a promuovere il diritto all’istruzione la sua storia richiama il destino comune a milioni di bambini. Tuttavia non riesco a provare gioia davanti alla notizia del “Malala Day” ma solo rabbia di fronte all'ipocrisia di un mondo che non fa altro che indire giornate internazionali a difesa dei diritti dell'umanità e puntualmente disattende l'attuazione di quegli stessi diritti evitando sistematicamente di rimuovere le cause più profonde e reali che stanno alla base di tante ingiustizie e di tanta sofferenza.

Nulla potrà cambiare, come sottolineato da Gordon Brown, inviato speciale dell'ONU per lo sviluppo dell'istruzione nel mondo, se "un Paese come il Pakistan spende soltanto il 2% del proprio budget in tema di istruzione."

L'istruzione è premessa indispensabile per ogni cammino di Pace e di Sviluppo.

La scorsa estate a Laghman, provincia orientale afgana al confine con il Pakistan, è stata assassinata dai talebani Hanifa Safi, attivista dei diritti delle donne. Ma nessuno ha conosciuto e pochi conosceranno il suo nome. Hanifa se n'è andata nel silenzio e nell'indifferenza come le 50 donne uccise da marzo ad oggi nel Paese in delitti d'onore, come le spose bambine che al ritmo di una ogni ora lasciano questa "valle di lacrime" in diversi Paesi del mondo, uccise per non aver pagato la dote pattuita.

No, non serve una giornata internazionale speciale e neppure scuole che portino il loro nome. Per onorare quanti come Malala o il piccolo fabbricante di tappeti Iqbal Masihf (pakistano anche lui, ucciso nel 1995) non serve l'atto riparatore di una giornata internazionale in più, ma una quotidianità diversa dall'ordinaria ingiustizia per quella parte di umanità che vive sulla propria pelle l'ipocrisia di un mondo che da un lato si indigna e dall'altro resta indifferente. In uno scritto di Malala si legge:"Ho sognato di un Paese in cui l’istruzione sia un diritto per tutti. Io ho dei diritti. Ho il diritto all’istruzione. Ho il diritto di giocare. Ho il diritto di cantare. Ho il diritto di parlare. Ho il diritto di andare al mercato. Ho il diritto di parlare in pubblico". Certamente Malala ha tutti questi diritti, ogni bambino dovrebbe averli, ma ha anche il diritto che gli adulti e i potenti del mondo difendano i suoi diritti di bambina senza che i bambini stessi siano costretti a diventare kamikaze per la Giustizia e la Pace.

Anna Maria Errera



[1] http://www.nytimes.com/video/2012/10/09/world/asia/100000001835296/class-dismissed.html