Quando il lavoro è una missione

Intervista al maestro Didier Nangbei di Bouar 

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La
   Repubblica Centrafricana è un Paese situato proprio al centro del continente africano: di qui l’origine del suo nome. I paesi limitrofi sono: a nord il Ciad, a sud la Repubblica Democratica del Congo e il Congo Brazzaville, a est il Sudan, a ovest il Camerun. Ha una superficie di 622.980 kmq con 4,4 milioni di abitanti. La speranza di vita è di 45,1 anni. Le lingue ufficiali sono il francese e il sango. E’ un Paese povero, nonostante le sue ricchezze naturali. Il PIL è di 447 $/abitante. Il livello di alfabetizzazione si attesta sul 48,6%. I gruppi religiosi più numerosi sono nell’ordine: 50% cristiani (25% cattolici e 25%  protestanti), 35% musulmani, 15% animisti. Nel 1962 il presidente David Dacko ha nazionalizzato tutte le scuole cattoliche tranne il Liceo Pio XII (nella capitale Bangui), che ha resistito finora e ha formato la maggiore parte dei quadri del Paese. L’inizio degli anni ’90 è stato un periodo difficile per la scuola, con una serie di scioperi da parte sia degli insegnanti che degli altri funzionari dello Stato, i quali rivendicavano miglioramenti salariali. Questo fatto ha avuto come conseguenza più grave il calo degli alunni.
    E’ proprio in questo periodo che la Chiesa cattolica, da vera pioniera, ha iniziato a considerare la possibilità di creare scuole cattoliche per salvare il futuro del Paese. Perché coloro che venivano penalizzati erano i bambini poveri. I figli dei dirigenti, infatti venivano mandati a studiare all’estero,  persino in Europa, quelli delle famiglie benestanti frequentavano le scuole private, mentre i bambini di genitori poveri rimanevano a casa a motivo degli interminabili scioperi. Fu così che verso la fine degli anni ‘90 la Chiesa decise di aprire scuole elementari proprie, per dare la possibilità anche a questi bambini di imparare a scrivere, a leggere e a conoscere il loro diritti e doveri, per contribuire un giorno allo sviluppo del proprio Paese.
Questa è una grande sfida da affrontare. Ma per le scuole cattoliche la vita è difficile. La Chiesa infatti ha pochi mezzi per sostenere economicamente i suoi maestri e per andare avanti deve contare su un contributo delle famiglie degli alunni di circa 30 € l'anno, che permetta di pagare gli insegnanti che percepiscono solo 35.000 FCFA mensili (54 € circa). Inoltre oggi è sorto un nuovo problema: da un anno il Governo Centrafricano ha aumentato lo stipendio di tutti gli insegnanti delle scuole pubbliche, che ora ricevono salari di base che oscillano tra gli 80.000 e i 95.000 FCFA (122-145 €) e la tentazione degli insegnanti di lasciare la scuola cattolica per ricevere compensi più alti è tanto forte quanto comprensibile. E così molti insegnanti se ne sono andati portando con sé tutta la ricchezza pedagogica, morale ed etica che hanno ricevuto dalla scuola cattolica dalla quale loro stessi sono stati formati.
   E’ in questo contesto che Didier Nangbei -maestro di CM2, la sesta elementare- condivide la sua esperienza come credente ed educatore. Ci troviamo a Bouar, città nel nord-ovest della Repubblica Centrafricana, nella scuola cattolica associata "Saint Joseph", una vecchia scuola costruita negli anni ’50 prima dell’erezione della diocesi di Bouar (1978), frequentata attualmente da quasi 300 alunni di diverse religioni. Tra fiducia, rabbia, speranza, Didier ci apre il suo cuore di missionario laico in mezzo ai suoi…

- Maestro Didier, vuoi parlarci un po’ della vostra scuola, raccontarci cosa sta succedendo?
Prima di tutto grazie di avermi dato la parola. Nelle  scuole dello stato e in quelle gestite dalle ONG, come quella vicina del “Village S.O.S", i nostri colleghi insegnanti sono pagati bene… La Banca mondiale fornisce formazione agli insegnanti con la prospettiva di salari maggiori. Ma la Chiesa, che deve provvedere a tante necessità della popolazione, non ha mezzi per affrontare tutto. E così il nostro stipendio di insegnanti di scuola cattolica è davvero basso. Accade perciò che molti maestri lasciano la scuola Saint Joseph per andare dove si è meglio pagati. “L’erba del vicino è sempre la migliore”, come dice la capra. Ma il denaro pur essendo importante non può essere l'unica priorità. Nella mia vita ho scelto di dare la priorità alla fiducia. Non dovremmo pensare solamente al presente, ma soprattutto al futuro. In quanto credente, la fiducia ha il primato: innanzitutto non voglio deludere coloro che per primi mi hanno dato fiducia. Cerco di essere grato nonostante le difficoltà. Perdere fiducia, deludere, questo davvero non mi piace!

- Ci sono problemi reali… e tu, come padre di famiglia cosa ne pensi?

Difficoltà nella vita ne avremo sempre. Ma c'è una bella differenza fra essere solo insegnante o anche educatore. Io cerco di essere entrambi e vivo queste dimensioni sia con i bambini che mi vengono affidati sia con i miei colleghi, molti dei quali sono protestanti. Quando si forma un bambino, non si tratta solamente di riempire la sua piccola testa ma di pensare soprattutto al suo sviluppo integrale: morale, spirituale e fisico. Abbiamo nel nostro programma mezz’ora di “éveil religieux” ossia risveglio religioso. Partiamo dai racconti tradizionali che trasformiamo in lezioni di vita. Perché il buon cittadino non è solamente colui che sa parlare ma che sa anche mettere in pratica quanto ha appreso, per fare progredire il Paese…
Vedi, un insegnante si preoccupa solamente di trasmettere delle conoscenze. Nel quartiere può vivere diversamente da quanto insegna. Un educatore invece dà qualcosa in più: non si limita solamente a trasmettere conoscenze ma cerca di essere un testimone, un modello. Ti racconto un fatto che mi è successo. Un famiglia che aveva il figlio nella nostra scuola si è trasferita a Bangassou, nel sud-est del Paese. Dopo qualche tempo che si trovavano là il ragazzino ha fatto di tutto per avere il mio numero di telefono. Desiderava chiamarmi e ringraziarmi perché anche a Bangassou, dove frequenta una scuola cattolica, è il primo della sua classe. Ha scritto anche una lettera ai suoi ex compagni raccomandando loro di ascoltare bene il loro maestro Didier. E’ un segno che mi fa capire che sono sulla buona strada…

- E il tuo lavoro con le famiglie? 

Tutto affonda le sue radici nella famiglia. La famiglia ha un ruolo fondamentale perché l'educazione ricevuta a scuola abbia continuità. Ogni ultimo sabato del mese incontriamo i genitori per valutare come seguono i loro figli a casa… Ci vuole anche in questo uno spirito di sacrificio da parte degli insegnanti.

- E cosa ti gratifica di più?...
Il mio appagamento più grande è sentire i professori del Liceo (alcuni di loro sono stati miei professori) dirmi: “Didier, quanto sono bravi i vostri alunni, quelli che vengono dalla vostra scuola. Li riconosciamo subito perché fanno domande, partecipano e hanno sempre il massimo dei voti! Sono proprio brillanti! Congratulazioni per quello che fate!” Però, non te lo nascondo, è difficile sostenere la famiglia con quello che riceviamo. La vita è molto cara. Come tutti, spero di vedere un giorno la situazione migliorare un pochino. 
 
- Un’ultima battuta?
Abbiamo seri problemi in questo bel Paese ma mi sembra che ben pochi ne parlino in modo coerente e convincente all’estero, per poter avere degli appoggi. Abbiamo un grande sogno che prima o poi con l'aiuto di persone di buona volontà speriamo di poter realizzare: costruire il College (le 4 quattro classi del Liceo)  per poter seguire meglio questi ragazzi. Al Liceo statale ci sono più di cento alunni per classe. Ed alcuni dei nostri alunni perdono dopo un po’ il ritmo di studio per mancanza di un buon livello e di serietà! Lì la qualità lascia un po’a desiderare. Se avranno la possibilità di andare al Liceo dopo aver finito il College da noi, saranno in grado di difendersi bene…

P. Jean Marius T. Zoumalde