Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno.
La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo. (Sal 84, 11-12)
Misericordia, verità, giustizia, pace: parole che spesso incontriamo insieme, che rappresentano i confini del territorio che delimita la nostra libertà, i riferimenti delle nostre decisioni. Agire secondo verità e giustizia per perseguire la pace come condizione esterna di vita o secondo misericordia avendo come traguardo la pace come dimensione interiore? Apparentemente non sembra esserci contraddizione: se agisco secondo giustizia e verità favorisco la pace e questo in linea teorica è vero, ma di solito ci si riferisce ad ideali “alti” di giustizia, ideali che sottintendono come verità il fatto che gli uomini siano tutti uguali, abbiano gli stessi diritti e da qui discendano logicamente per tutti le stesse possibilità e libertà. Sono affermazioni che qui non si vuole certo confutare, ma negli ltimi decenni si è fatto strada un nuovo modo di pensare, che ha preso genericamente il nome di “etica della cura”. Questo modo di vedere il mondo origina non tanto dal considerare gli uomini come esseri autonomi e portatori di diritti, ma dalla constatazione che siamo tutti esseri limitati, inter-dipendenti, bisognosi di cura fin dalla nascita e per tutta la durata della nostra vita, anche se in modi diversi e con diversi gradi di intensità. Di fronte a questa prospettiva, non siamo affatto tutti uguali se non nell’unico diritto fondamentale di ricevere cura e nel dovere di dare cura agli altri, dovere costitutivo del nostro essere. La cura è una pratica orientata a risolvere una condizione di bisogno o a consentire ad una persona di sviluppare a pieno le sue potenzialità ed è indirizzata ad un “altro” ben identificato, non ad un generico oggetto di cura. Essa è più primordiale di ogni altra considerazione di equità, è la decisione del vecchio pescatore nella canzone di Fabrizio De André, che alla richiesta di cibo che un assassino in fuga gli fa, risponde senza indugio: “Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno, non si guardò neppure intorno ma versò il vino e spezzò il pane per chi diceva ho sete, ho fame”.
Scrivo queste considerazioni in occasione della ricorrenza della 50a Giornata Internazionale dell’Alfabetizzazione, intitolata dall'UNESCO "Leggere il passato, scrivere il futuro". La giornata intende celebrare i cinque decenni trascorsi di impegno nazionale e internazionale, gli sforzi e i progressi compiuti per aumentare i tassi di alfabetizzazione in tutto il mondo come strumento per potenziare gli individui, le comunità e la società globale. Proclamare il diritto all’istruzione è un atto di giustizia, che va nella direzione della pace ma è diverso dal prendersi cura di una comunità specifica, di un bambino, unico al mondo in quanto tale. L’OPAM è profondamente solidale con le finalità dell’UNESCO di “garantire un'istruzione di qualità, inclusiva ed equa e di promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti” ma è in maniera sempre più convinta sul versante dell’etica della cura. Noi non conosciamo “tutti”, ma conosciamo bene le persone e le comunità che vi presentiamo in questo numero speciale dedicato alle persone per e con le quali lavoriamo. Con i loro volti, le loro storie, il nostro impegno vogliamo scandire il tempo di questo nuovo anno sociale invitandovi a fare di ogni giorno un giorno speciale. Misericordia e verità possono e devono incontrarsi. L’inclusività e l’equità richieste a gran voce dall’UNESCO sono una risposta obbligata alla scandalosa disparità globale di distribuzione delle risorse e delle opportunità, che papa Francesco non si stanca di denunziare. Tuttavia la giustizia acquista il suo significato pieno solo all’interno dell’Abbraccio Misericordioso con cui il Padre ci conosce, non come numeri di una statistica, ma personalmente.
Fabrizio Consorti